Analisi del testo e Commento di "In Memoria" di Giuseppe Ungaretti

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    Analisi del testo e Commento di "In Memoria" di Giuseppe Ungaretti


    Si chiamava
    Moammed Sceab

    Discendente
    di emiri di nomadi
    suicida
    perchè non aveva più
    Patria

    Amò la Francia
    e mutò nome

    Fu Marcel
    ma non era Francese
    e non sapeva più
    vivere
    nella tenda dei suoi
    dove si ascolta la cantilena
    del Corano
    gustando un caffè

    E non sapeva
    sciogliere
    il canto
    del suo abbandono

    L'ho accompagnato
    insieme alla padrona dell'albergo
    dove abitavamo
    a Parigi
    dal numero 5 della rue des Carmes
    appassito vicolo in discesa

    Riposa
    nel camposanto d'Ivry
    sobborgo che pare
    sempre
    in una giornata
    di una
    decomposta fiera

    E forse io solo
    so ancora
    che visse





    Nella poesia si possono distinguere tre parti, che si riferiscono a tre tempi diversi: alla vita e al tormento di Moammed; al suo funerale; al poeta che lo ricorda. Individua queste tre parti e riassumine distintamente il contenuto.

    2. Nella seconda e nella quarta strofa si accenna alla vita e alle abitudini dei nomadi: questi si possono considerare davvero dei senza Patria (nota la maiuscola) e degli individui senza identità?

    3. Rileggi la quarta strofa (vv 18-21): in che modo, secondo il poeta, lo sventurato giovane arabo avrebbe potuto vincere la nostalgia della sua terra?

    4. Al verso 26 si dice dal numero 5 della rue des Carmes: perché c'è dal e non al? Il poeta sta qui precisando l'indirizzo dove abitavano, lui e Moammed, o sta descrivendo una scena? Quale? Commenta tutta la strofa e spiega anche il significato di appassito riferito a un vicolo: per quali oggetti di solito si usa questo aggettivo, e qui con quale altro lo sostituiresti?

    5. L'ultima strofa riguarda direttamente anche il poeta, che è al fronte e, mentre ricorda il suo amico, si rende conto che anche lui è di continuo davanti alla morte. Se dovesse morire, resterebbe traccia della vita di Moammed? Commenta questa circostanza.

    3. Considerazioni sul linguaggio di questa poesia.

    In genere la poesia presenta parole ricercate, rime evidenti e vari giochi di parole. Qui c'è molto poco di tutto ciò. Le parole sono quasi tutte comunissime (elenca quelle che ti sembrano più "banali"), gli accostamenti insoliti sono soltanto tre (sciogliere il canto; appassito vicolo; decomposta fiera). Non ci sono vere rime, ma tra i versi 6, 12 e 18 c'è un gioco di ripresa e qua e là ci sono varie assonanze o sillabe che si ripetono; è una musica molto nascosta, cerca di coglierla e trascrivi questi segnali.

    Ma nella poesia di Ungaretti è fondamentale il ritmo spezzato, fatto di piccoli "gridi". Nota che i versi sono spesso brevissimi, anche di una sola parola, e che non c'è punteggiatura, ma solo spazi bianchi tra le strofe, che iniziano con la maiuscola. Rileggi nel suo insieme questa poesia e indica dove ti sembra necessario fare delle pause particolari e quali parole ti sembra di dover mettere così in risalto.






    A Parigi Moammed deve essersi sentito emarginato, sradicato, e così è emersa in modo drammatico la sua mancanza di identità. Egli non si considerava più un appartenente alla comunità di origine, musulmana, probabilmente perché, avendo conosciuto la cultura occidentale, la giudicava arretrata e superstiziosa. Per questo si era trasferito a Parigi e aveva mutato il suo nome in Marcel, ma questo non era stato sufficiente per dargli un’altra patria: non si sentiva francese e covava la delusione nel suo cuore, senza neanche il piccolo conforto che deriva al poeta dall’esprimere la sua solitudine. Il dramma è irrisolvibile e sfocia nel suicidio di Moammed. Anche la povera cerimonia funebre, con la bara accompagnata solo dal poeta e dalla padrona d’albergo, e la deposizione nel camposanto d’Ivry suggeriscono in modo chiaro la solitudine e la desolazione che ha accompagnato questa vita.

    2 La poesia è composta da strofe di diversa lunghezza, da un minimo di due a un massimo di otto versi. Anche i versi sono differenti fra di loro. Ci sono ben sei parole-verso, ed una prevalenza di versi brevi, ma vi è anche un endecasillabo (23) e un dodecasillabo (26). Ungaretti porta a compimento un processo di frantumazione dei metri tradizionali, superando il profluvio di parole della retorica dannunziana e delle cantilene crepuscolari.

    3 La sintassi di questa, come di tutte le poesie del primo Ungaretti, è estremamente semplice, e le proposizioni subordinate sono rare, in quanto prevale la coordinazione sulla subordinazione. Una delle cose più importanti da notare è la mancanza di punteggiatura. Di questa si parlava nel Manifesto tecnico della letteratura futurista, ma in Ungaretti essa diventa, diversamente dai futuristi, uno strumento per comunicare essenzialità e per isolare ulteriormente le parole all’interno degli spazi bianchi. La parola si staglia all’interno della pagina, ed anche per questo riacquista un valore che aveva perso nella stagione poetica precedente (è la cosiddetta poetica della parola).

    4 Già in precedenza abbiamo fatto notare che in questa poesia ci sono sei parole-verso. Tra queste, senz’altro le parole suicida e la parola Patria, significativamente in maiuscolo, come Francia, e , perfino, Francesi, hanno una funzione prevalente. Nella mancanza della patria si consuma tutto il dramma del suicida Moammed Sceab: un’esistenza emblematica di una situazione esistenziale comune a molti uomini, nel contesto spersonalizzante ed alienante della società moderna. L’uomo a cavallo tra l’ottocento e il novecento ha perso tutti i punti di riferimento che lo contraddistinguevano nelle epoche precedenti, e non ne ha trovati di alternativi. Non a caso Ungaretti intitolerà la sua raccolta di poesie del 1919 “Allegria di naufragi”, alludendo a questo fallimento sociale, oltre che personale.

    5 Ungaretti potrebbe identificarsi con Moammed per la ricerca esistenziale che li ha accomunati, e li ha portati ad approdare a Parigi, allora indiscussa capitale culturale dell’Europa, in cui confluivano poeti come Apollinaire, filosofi come Bergson, pittori come Picasso, per non parlare dei futuristi italiani. Lo stesso Ungaretti in poesie come Peso, Stasera, ecc…esprime un’inquietudine profonda, una malinconia, assimilabile a quella di Moammed. L’esperienza della guerra conduce Ungaretti al fondo di questa angoscia, ma proprio da essa riparte, per il poeta, un desiderio di riemergere. L’esperienza della guerra, dice in Veglia, lo fa sentire riattaccato alla vita come non mai, allontanandolo dal fascino inquieto del suicidio. Egli, a differenza di Sceab, riesce a “sciogliere / il canto / del suo abbandono”, ed anzi la parola poetica sarà un primo appiglio su cui ricostruire una positività. Il poeta scende fino al porto sepolto e ne riemerge, portando con sé qualcosa di indecifrabile, ma che risulta essere un simbolo delle origini, che costituiscono anche il senso della vita futura. In poesie come I fiumi Ungaretti esplicita questo legame, che lo porterà addirittura, nel 1928, alla conversione, intesa come un ritorno alle proprie radici, a differenza di Moammed che “non sapeva più / vivere / nella tenda dei suoi”.

    6 Il poeta, secondo Ungaretti, non elabora complessi discorsi retorici, non svolge più la funzione di poeta-vate come in Carducci e D’Annunzio. Egli annota un’esperienza, spesso in pochi frammenti di straordinaria intensità (si pensi alla poesia Mattino), talvolta in modo più dispiegato e quasi narrativo, come nella poesia In memoria, sempre però ala ricerca dell’essenziale, di quello che, pur partendo da un’espeienza personale, assurge a un valore universale, e riguarda tutti gli uomini. In questo processo la parola acquista un valore particolarmente intenso e pregnante. Alcune parole come “fratelli” “vita” “cuore” e la stessa parola “Patria” presente nella poesia In memoria riacquistano il loro significato originario e perdono tutta la carica sentimentalistico-romantica, o retorico-formale. In un certo senso Ungaretti vuole superare l’eredità dannunziana, come i crepuscolari, ma, grazie anche alla sua formazione cosmopolita ed eterogenea, opera in modo diverso, se non opposto. Mentre i crepuscolari operavano una autosvalutazione del ruolo del poeta, Ungaretti conferisce alla poesia un compito di ricostruzione di un tessuto umano dilacerato e sconnesso dal “naufragio” della civiltà europea, ben simboleggiato dalla rovina della guerra. Ungaretti scrive in una sua poesia che la parola è “scavata nella mia vita / come un abisso” proprio ad indicare questa funzione determinante della poesia nel suo itinerario di ricerca umana.

    7 Questa è probabilmente una delle prime poesie di Ungaretti, e, comunque, è una delle poche della raccolta “L’Allegria” che non prende spunto dall’esperienza della guerra. Si tratta di ricordi, legati alla propria permanenza a Parigi nel 1912, quando Ungaretti ha conosciuto ed appreso la lezione dei simbolisti francesi, in particolare per le analogie ardite di Mallarmé, per le sperimentazioni di Apollinaire. Tuttavia la strada che intraprende Ungaretti è originale e altrettanto lontana dalla verbosità monocorde dei crepuscolari, quanto dagli sperimentalismi fini a se stessi dei futuristi.

    [61] qui si intende che siano i capi delle piccole comunità beduine

    [62] preghiera recitata come una nenia

    [63] esprimere, enunciare, esporre la sua situazione di solitudine in una poesia

    [64] il termine “rue” equivale al nostro “via”

    [65] sciupato, ammuffito, vecchio

    [66] il cimitero è paragonato ad un mercato in disfacimento

    Fonte

    Edited by Nayt1 - 17/1/2017, 01:00
     
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